Il politologo: “Trump non si fida di Kiev. E l’Ucraina rischia la spartizione”

Zelensky è la voce irriducibile di un Paese stremato. Uno Stato che, quando del rombo dei missili resterà solo l’eco, rischia di non esistere più. Non come lo abbiamo conosciuto, almeno. È questo lo sfondo del summit di Ferragosto in Alaska, secondo la descrizione del politologo ucraino Ruslan Bortnik, direttore dell’Istituto di Politica di Kiev.

Bortnik, come valuta la decisione di Trump di organizzare un vertice con Putin senza coinvolgere l’Ucraina?

“Da un lato appare discriminatoria, ma va compresa nel contesto più ampio dei rapporti Usa–Russia, che includono temi come disarmo nucleare, sanzioni globali, flussi commerciali, crisi regionali. Tuttavia, discutere dell’Ucraina senza Kiev indica che Trump non si fida di Zelensky e vede la guerra come una questione geopolitica da risolvere tra grandi potenze”.

Quali rischi comporta per Kiev un possibile accordo bilaterale tra Washington e Mosca?

“Il pericolo maggiore è una nuova divisione delle sfere di influenza, con un ridisegno territoriale simile a Finlandia o Germania post-bellica. Ciò allontanerebbe l’Ucraina da Nato e Ue, cambiando la rotta politica e rovesciando l’élite di governo, con gravi scosse interne”.

Come influisce l’esclusione dal vertice sulla posizione negoziale di Zelensky?

“Riduce il ruolo dell’Ucraina nel riequilibrio geopolitico. Per Trump, Kiev è legata alle élite liberal-democratiche Usa ed europee, cioè ai propri avversari”.

Perché Zelensky ribadisce ora che non cederà mai il Donbass?

“Per rassicurare opinione pubblica e alleati: Kiev non arretra né tradisce l’alleanza con l’Europa. È anche un messaggio a Trump e Putin: il Donbass non si tratta senza di lui. Ma questa posizione significa rifiutare ufficialmente l’annessione russa, non necessariamente mantenerne il controllo de facto”.

Perché il Donbass è cruciale?

“È simbolico – cuore della presenza russa in Ucraina dal 2014 – e strategico: ricco di carbone, terre rare e risorse, vale circa il 20% delle riserve naturali ucraine. Per Mosca, è anche una questione di sicurezza”.

Che impatto può avere questa posizione sui colloqui di pace?

“Può ridurre temi e margini di compromesso, ma anche tracciare linee rosse per Trump. Senza discussioni su scambi territoriali, l’incontro con Putin sarà meno interessante per Mosca e meno produttivo”.

Cosa pensano le forze politiche e i cittadini ucraini?

“Nel mainstream controllato dallo Stato domina la linea dura. Non c’è un vero dibattito: opposizioni e critici sono sotto pressione. Tuttavia, la maggioranza della popolazione – 60-80% – vuole la fine della guerra. Un sondaggio Gallup lo conferma, sebbene solo un terzo accetterebbe concessioni. Questa pressione interna può spingere Zelensky verso un accordo”.

 

Quanto conta il sostegno europeo?

“È vitale: senza aiuti militari e finanziari, Kiev non resisterebbe. Ma è anche una ragione del sospetto di Trump, che vede nell’asse Ucraina–Europa un progetto contro di lui”.

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