Talk sciòIl panel putiniano di Limes e il confine del giornalismo obiettivo

In occasione del suo decimo festival, la rivista di geopolitica ha organizzato un incontro sulla invasione in Ucraina con il russo Dmitrij Trenin e l’ucraino Oleksij Arestovyč: non due osservatori imparziali, ma personaggi con una agenda politica precisa e screditati dagli osservatori internazionali/

Se una persona dice che piove e un’altra che c’è il sole, il compito del giornalismo non è amplificare le dichiarazioni di entrambi, ma mettere la testa fuori dalla finestra e vedere se si bagna. Nell’era delle tifoserie social e del pigro giornalismo da desk, questa massima giornalistica non viene quasi mai rispettata. Dalla pandemia al conflitto israelo-palestinese siamo condannati a vedere talk show in cui due opposti bisticciano tra loro, urlando sempre più forte la loro verità. La rivista di geopolitica Limes ha deciso di fare ancora peggio: in occasione del suo decimo festival (dal 10 al 12 novembre 2023 al Palazzo Ducale di Genova) gli organizzatori hanno allestito un panel sulla invasione russa in Ucraina (l’11 novembre alle 16.30) invitando due ospiti, un russo e un ucraino, che dicono però la stessa cosa, anche se con sfumature diverse: a Mosca splende sempre il sole e a Kyjiv grandina senza sosta. Dmitrij Trenin e Oleksij Arestovyč non sono due osservatori imparziali, ma personaggi con una agenda politica precisa e screditati nel resto del mondo, e soprattutto in Ucraina, per la loro irrilevanza o partigianeria. Ma in Italia godono ancora di un certo credito.

Trenin è membro del Consiglio russo per gli affari esteri e la difesa. Prima dell’invasione russa era consultato da diversi politici e intellettuali occidentali come un interlocutore indipendente per capire le ragioni del Cremlino, ma da quando è scoppiata la guerra si è rivelata la sua natura putiniana. Da quando si è esposto a favore della invasione non ricopre più la carica di direttore del Carnegie Moscow Center ed è stato allontanato da altri think tank e istituti europei tra cui il Carnegie Endowment for International Peace e l’Accademia reale svedese delle scienze della guerra «a causa del suo attivo sostegno all’ingiustificata e illegale invasione russa dell’Ucraina»

Meno di un anno fa Trenin ha proposto in una intervista a Global Affairs di «trasformare le armi nucleari in un efficace elemento di deterrenza nella specifica situazione ucraina al fine di convincere gli Stati Uniti che seguirà un attacco sul territorio americano». Già ospite l’anno scorso del Festival di Limes, Trenin si era detto sicuro della possibile vittoria militare della Russia perché Mosca non aveva ancora usato tutta la sua potenza e che presto l’avrebbe fatta vedere al mondo. A Kyjiv stanno ancora aspettando e nell’attesa, avanzano.

Il secondo ospite del panel è Oleksij Arestovyč, un ex attore di pubblicità e film tra gli anni Novanta e inizio Duemila che ha annunciato di volersi candidare come prossimo presidente dell’Ucraina, proponendo di entrare nella Nato cedendo momentaneamente il venti per cento del territorio ucraino alla Russia per poi rinegoziarlo (chissà quando), rinunciando così alla controffensiva grazie cui Kyjiv da mesi sta guadagnando terreno, seppur lentamente. Una soluzione alla coreana, da lui definita con modestia «piano Kissinger», che risulta l’opposto di quanto professato da lui stesso in passato, come quando nel 2016 chiese, seduto al volante della sua macchina, l’apertura di un procedimento penale contro l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, colpevole di aver permesso a Putin di annettere la Crimea alla Federazione russa. 

L’idea non sembra piacere molto agli ucraini: stando ai sondaggi del Center for Insights in Survey Research solo il sei per cento della popolazione sarebbe a favore di questa soluzione, contro il sessantotto per cento che vorrebbe mantenere i confini internazionalmente riconosciuti nel 1991. Il gradimento sulla sua figura politica è più sconsolante: solo il 2,4 per cento degli ucraini lo voterebbe come presidente in una eventuale elezione che non si terrà ancora per molto tempo. Non solo; a maggio del 2023 il Centro Razumkov ha rilevato che il sessantacinque per cento degli ucraini non si fida di Arestovyč.

Perché un personaggio così connotato politicamente, sfiduciato e poco rilevante per l’opinione pubblica viene ritenuto da Limes un credibile osservatore per parlare del futuro dell’Ucraina? 

In un panel durante la nona edizione di Limes, nel novembre 2022, Arestovyč viene definito dalla moderatrice come il «capo consigliere del gabinetto della presidenza Zelenksy» (qualunque cosa voglia dire), alcuni media lo hanno definito addirittura il suo «stratega» (qualsiasi cosa voglia dire), ma a guardar bene le cose non stanno proprio così. Per quasi tre anni ha ricoperto il ruolo di consigliere indipendente a tempo del capo di gabinetto dell’Ufficio di presidenza dell’Ucraina. Quindi non capo, ma advisor, tra l’altro freelance e non con contratto permanente. Posizione da cui si è dimesso lo scorso 17 gennaio in seguito a una sua dichiarazione infelice su di un razzo lanciato dai russi contro un edificio a Dnipro che ha ucciso quarantuno persone. A indagine ancora in corso, Arestovyč è intervenuto pubblicamente, sostenendo che il condominio era stato abbattuto dai detriti di un razzo sparato dalla contraerea ucraina contro il missile russo. La versione è piaciuta subito al Cremlino, ma è stata smentita dalla aviazione ucraina. Arestovyč ha continuato a difendere con fermezza la sua tesi, pur senza fornire prove e documenti a sostegno, salvo poi ritrattare, definendola una mera tesi. Prima delle dimissioni ha ricoperto per diversi mesi anche il ruolo di portavoce del gruppo di contatto trilaterale sull’Ucraina per cercare soluzione diplomatica del conflitto nella regione contesa del Donbas. 

«Ha giocato un ruolo mediatico particolare all’inizio della guerra, quando nell’ultima settimana di febbraio e inizio marzo gli è stato chiesto di leggere il bollettino militare e informare così la popolazione sull’andamento di guerra. In quel frangente delicato è stato scelto come portavoce perché la sua oratoria assertiva e tranquillizzante era utile affinché non si creasse il panico nel paese nei primi giorni dell’invasione. Ma la società civile ucraina non lo ha mai considerato una figura politica credibile», spiega a Linkiesta Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI). «I giornalisti ucraini non si capacitano perché all’estero, e in particolare in Italia, venga chiamato come esperto». 

Il recente reportage del Time, che ritrae un deluso e abbattuto Zelensky come se fosse sull’orlo della sconfitta quando in realtà la controffensiva procede, ha suscitato molte critiche in Ucraina. La voce del dissenso all’interno dell’articolo sembra appartenere proprio ad Arestovyč, anche se non viene mai citato nel pezzo. Le sue dichiarazioni, provenienti da fonti anonime, assomigliano notevolmente alle sue frasi abituali. Non a caso, l’autore dell’articolo, Simon Shuster, aveva precedentemente citato più volte Arestovyč come sua fonte nel celebrativo articolo del Times del 2022, in cui la rivista aveva dedicato la copertina dell’uomo dell’anno a Zelensky. Ora però Arestovyč non fa più parte del governo Zelensky è ripostando il recente articolo ha definito il suo presidente un «dittatore»

Nel 2005, Arestovyč è entrato nel gruppo ucraino di estrema destra Bratstvo (Fratellanza) diventando il vice dell’allora leader Dmytro Korchynskyi, partecipando a diverse conferenze a Mosca del Movimento eurasiatico internazionale diretto dal filosofo e politologo putiniano Alexander Dugin. Dopo aver condotto per alcuni anni dei seminari di formazione psicologica, dal 2014 Arestovyč è diventato un importante opinionista televisivo, riuscendo a costruire nel tempo una base importante di follower grazie alle sue capacità attoriali. Per corroborare la sua figura di esperto internazionale alcuni citano un suo discorso nel 2019 quando predisse nel dettaglio come la Russia avrebbe attaccato l’Ucraina, ma come ha spiegato a Opendemocracy Ruslan Bortnik, direttore dell’Ukrainian Institute of Politics: «Quasi tutti i politologi ucraini seri hanno predetto la guerra. Arestovyč è bravissimo nelle pubbliche relazioni, ma non è un meteorologo, né un insider, né un esperto politico o militare. È uno sceneggiatore, un allenatore e un divulgatore».

Dopo aver lasciato il ruolo di consigliere indipendente, Arestovyč ha intensificato le apparizioni nel canale YouTube di Mark Feygin, l’avvocato delle Pussy Riot, per commentare gli sviluppi della guerra, riacquistando una certa popolarità. Ma la collaborazione è terminata a metà agosto. «Da quando si è dimesso ha cambiato la sua narrazione passando dalla posizione del mantenimento dei confini del 1991 al rivendicare solo l’ottanta per cento. Il suo tentativo è quello di aumentare i consensi, catalizzando il voto dei russofoni e sperando che in questa fase di apparente stallo aumentino gli insoddisfatti contro il governo Zelenksy. Ma l’Ucraina è ancora unita contro la Russia e speranzosa di riconquistare i territori non solo per una questione di principio, ma soprattutto per sottrarre più ucraini possibili alle torture dei russi. A Mosca fa gioco che Arestovyč venga invitato a queste manifestazioni perché così si dà l’impressione di voci discordanti in Ucraina ed è più facile imporre una pace favorevole mediaticamente a Putin», spiega Mikhelidze.

Al momento Arestovyč è sotto indagine per una serie di frasi sessiste pronunciate durante alcuni seminari a pagamento. Le dichiarazioni sono state rivelate dalle giornaliste Yana Brenzei ed Emma Antonyuk che hanno pubblicato sul loro canale YouTube “Palaye” le clip di Arestovyč mentre dice: «Ragazzi finché le ragazze non ci sentono, possiamo parlare liberamente. Cosa vogliamo fare con quelle creature in realtà? Strozzarle. Strozzarle senza togliere le mani. Prima, ovviamente, le vogliamo scopare, e dopo quando non ne possiamo più di loro e quando ormai siamo sazi, vogliamo solo soffocarle. Soffocarle per eliminarle del tutto e poi per ulteriori tre anni non socchiudere le mani».

Non è la prima volta che Arestovyč pronuncia frasi controverse, come quando il 19 giugno 2022, in onda sul suo programma “Apeiron, scuola di pensiero” disse: «Tratto le persone LGBT come persone devianti, cioè con deviazioni dalle norme di comportamento. Sono un conservatore in questo senso. Un’altra cosa è che sono decisamente contrario alla loro persecuzione. Quindi tratto normalmente le persone LGBT, ma la propaganda LGBT è crudele. Perché è la propaganda della deviazione, una deviazione dalla norma, che ha specifiche conseguenze negative per la società. Sono un forte oppositore. Tratto i rappresentanti LGBT con compassione».

Da una parte un ex colonnello dei servizi segreti che appoggia ideologicamente l’invasione russa in Ucraina, dall’altra un ex consigliere dimissionario che sogna di prendere il posto di Zelensky, omofobo, affabulatore e un po’ mitomane. Un duello dialettico eccezionale per gli amanti dei talk show, un gran peccato per tutti coloro che andranno a Genova sperando di capire qualcosa sull’invasione russa e la controffensiva ucraina, oltre la propaganda. Eppure il giornalista Lucio Caracciolo, fondatore e direttore di Limes e docente di Studi strategici all’università Luiss Guido Carli ogni volta in cui è ospite in un noto talk show di La7 si scaglia contro la retorica bellicista e la propaganda. 

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